Podcast: cosa sono e come ascoltarli
- Veronica Buscarini
- 18 ott 2020
- Tempo di lettura: 4 min

Ok, lo ammetto, i podcast sono un po' il mio ambito. Infatti, oltre a prestare servizi editoriali con Scrivi&Riscrivi, io mi occupo di podcast.
Dal sondaggio di mercoledì è emerso che la stragrande maggioranza di voi non ascolta i podcast (69%), molti addirittura non conoscono che cosa siano.
Direi quindi che è necessario parlarne un pochino.
Per l'occasione ho deciso di ripescare un articolo che avevo scritto un po' di tempo fa ma che trovo molto adatto per spiegare che cosa siano i podcast.
Un paio di cuffiette, uno smartphone, e basta! Questo è quanto occorre per ascoltare un podcast.
In America ormai l’ascolto dei podcast è all’ordine del giorno, in Italia, secondo la classifica Nielsen mostrata il 21 novembre a Milano, in occasione della seconda edizione degli United State of Podcast, gli ascolti sono in forte crescita. Si è passati infatti da 10 milioni di ascoltatori nel 2018 a 12, 1 milioni nel 2019, con un incremento del 16%.
La classifica ha mostrato che la maggior barriera agli ascolti è la scarsa conoscenza del mezzo.
Spesso, quando parlo di podcast, sento rispondermi con frasi come “Ah, sì! Quelli di Spotify”. Visti i dati, credo sia meglio fare un po’ di chiarezza: certamente presente anche su Spotify, il podcast è un contenuto audio in serie fruibile on demand. La maggior parte dei podcast sono disponibili gratuitamente attraverso canali come Apple Podcast, Google Podcast, Spreaker, e appunto Spotify. È possibile ascoltarli anche sottoscrivendo abbonamenti a piattaforme come Audible o Storytel che oltre gli audiolibri offrono anche un’ampia scelta di podcast.
Sempre secondo la classifica Nielsen, la maggior parte degli ascoltatori hanno tra i 18 e i 34 anni, con una differenza nella selezione dei contenuti: i più giovani utilizzano il mezzo come intrattenimento, mentre i più adulti per informarsi.
Ma perché i podcast? E perché proprio ora?
Con i ritmi frenetici della nostra società, in cui ci troviamo a gestire lavoro, studio, scuola, sport, e in cui passiamo una buona parte del nostro tempo libero sui social, il tempo per la lettura di libri, giornali o per l’approfondimento di argomenti di nostro interesse è sempre meno.
Il podcast risulta essere una soluzione perfetta: non impegna le mani, non impegna gli occhi, ha le dimensioni di uno smartphone, e permette di approfondire un argomento o seguire una storia vera o fiction, soltanto attraverso un paio di cuffie.
Mentre si aspetta l’acqua che bolle, durante le pulizie domestiche, in autobus, in auto o mentre si fa jogging: un mezzo che risponde perfettamente al multitasking che caratterizza la nostra società.
Ascoltare un podcast è semplice, ma anche realizzarlo non è complicato: bastano un microfono e la propria voce; anche i costi non sono elevati.
Questo permette di avere un’ampia scelta di contenuti: dalla fiction, al true crime a serie di approfondimento su politica, scienza, società, lifestyle, autoaiuto, e molto altro.

Ok, ma quindi è tipo la radio?
No. Innanzitutto, il podcast risponde a un’esigenza fondamentale delle nuove generazioni: quella di poter scegliere cosa ascoltare e quando (un po’ come Netflix e la tv). Ma le differenze tra i due mezzi non si limitano a questo.
Spesso molti definiscono i podcast “radio on-demand”. Vero che molte trasmissioni radiofoniche ora vengono registrate e messe a disposizione on-demand. Ma i due mezzi non vanno confusi.
La fortuna che sta avendo oggi il podcast si deve soprattutto al fatto che è un contenuto totalmente digitale, pensato per una generazione digitale. La differenza è sostanziale: i podcast sono molto specifici su determinati argomenti sui quali vi è un grande approfondimento. Inoltre, il linguaggio è informale, intimo, ma non è quasi mai improvvisato, è studiato per creare immagini attraverso le parole e attraverso il sound design; molto più simile, in questo aspetto, al vecchio radiodramma.
Pablo Trincia, autore di Veleno podcast che ha “iniziato”, se così possiamo dire, l’Italia ai podcast, si esprime in questi termini:
Mi sono accorto che il racconto orale fa lavorare la testa, perché non ci sono immagini preconfezionate. Quindi il cervello lavora per ricostruire a livello visivo quello che ascolti.
Inoltre, la radio ha una dimensione più collettiva, mentre il podcast crea intimità nell’ascolto, un mondo che passa attraverso le cuffiette direttamente all’ascoltatore. La comunicazione e il dialogo però non si perdono, infatti intorno ai podcast si creano delle vere e proprie community anche molto sentite, è il caso ad esempio del podcast di Storielibere.fm, Morgana, per il quale c’è un forte dialogo sui social che condivide anche un linguaggio proprio, come ad esempio l’hashtag #morgane. Stessa cosa per il podcast Scientificast, i cui autori hanno creato appositamente un gruppo Telegram per creare un dialogo diretto con e tra gli ascoltatori.

In ultimo, l’aspetto più “romantico” dei podcast è il recupero del racconto orale, qualcosa che ha in sé una certa nostalgia, che ci riporta alle storie che ci venivano raccontate da piccoli, ma anche più indietro: l’ascolto infatti è la prima forma di fruizione di storie che caratterizza la nostra civiltà, basti pensare ai rapsodi dell’antica Grecia che recitavano oralmente i poemi omerici.
Un mezzo totalmente digitale che vive della prima forma di racconto mai esistita, il racconto orale.
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