Pillola n. 13
- Veronica Buscarini

- 24 ago 2020
- Tempo di lettura: 4 min

Sicuramente vi sarà capitato, soprattutto se vi piace scrivere, di sentire parlare di show don’t tell. Mostra, non dirlo.
Lo show don’t tell è una raccomandazione molto frequente nell'ambito della narratologia e dei corsi di scrittura creativa, ma vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta.
Innanzitutto, lo show don’t tell più che una tecnica, è un modo di narrare che premia la naturalezza. La finzione del narrato viene nascosta in virtù di immagini, odori, gesti che ci vengono mostrati e descritti per come accadono.
Wes si è alzato e ha tirato le tende. Il mare è sparito, così, da un momento all'altro. Sono andata in cucina a preparare la cena. Avevamo ancora un po’ di pesce in ghiacciaia. Non c’era molto altro. Stasera lo ripuliamo, ho pensato, e così sarà tutto finito.
Queste sono le battute finali del racconto di Carver La casa di Chef. Carver è sicuramente un maestro dello show don’t tell e in queste poche righe lo vediamo bene.
Il racconto ci parla di due ex alcolizzati che vengono sfrattati dalla casa in cui alloggiano per un periodo di tempo.
Carver avrebbe potuto parlarci del senso di desolazione che prova Wes nell'andarsene, del fatto che abbandonando quella casa perde le sue certezze, avrebbe potuto dirci che non voleva farlo ma ne era obbligato. Ma non ci dice nulla di tutto questo, ce lo lascia immaginare, lo racchiude in un’azione, un gesto breve e veloce, puntuale come la desolazione che lascia nel leggerlo: Wes si è alzato e ha tirato le tende. Il mare è sparito, così, da un momento all'altro.
E a questo corrisponde un altro gesto, quello della donna che sta raccontando, l’ultima cena per svuotare il frigo: avevamo ancora un po’ di pesce in ghiacciaia. Non c’era molto altro. Stasera lo ripuliamo, ho pensato, e così sarà tutto finito.
Due azioni brevi, concise, che non ci dicono niente ma nello stesso tempo ci dicono tutto. Ci rendono chiara e puntuale la costernazione della fine, quei gesti inevitabili che la racchiudono: e così sarà tutto finito.
Carver è sicuramente un maestro della sintesi e dello show don’t tell, i suoi racconti vanno letti e riletti per la quantità di significati, di simboli e richiami che nascondono. Ogni rilettura è una preziosa lezione di scrittura creativa.

Vediamo però ora più nel dettaglio come poter applicare la tecnica dello show don’t tell con naturalezza.
Fondamentale per poter scrivere mostrando e non dicendo quanto accade è aver progettato bene. Avere ben chiaro come sono i personaggi, le loro particolarità e cosa vogliono. Aver pensato la loro back story e avere ben chiara l’ambientazione, i luoghi in cui si muovono.
I personaggi si muovono in uno spazio concreto in cui compiono azioni e gesti attraverso cui oltre che portarci avanti nella storia ci comunicheranno chi sono e cosa provano.
Un odore, così come una macchia di caffè su una superficie possono dirci molto di più di un personaggio che la descrizione di un suo sentimento; ovviamente, se abbiamo ben costruito la scena.
Come sempre è importante ricordarsi di non avere solo gli occhi, una scena sarà tanto più concreta se impiegheremo nel descriverla tutti i cinque sensi.
Bisogna poi saper fare buon uso delle parole e privilegiare la sintesi.
Vi capita mai di scrivere un racconto o una scena e poi rileggerlo e eliminare buona parte delle parole usate?
Erano parole superflue. Non bisogna inseguire una sensazione o un concetto con un fiume di parole, è il modo migliore per allontanarsene infatti. Bisogna prendere tempo, pensare bene a ciò che si vuole dire e scegliere le parole adatte, puntuali, che sappiano riferire esattamente ciò che abbiamo in mente. Se necessario è bene cercarle sul dizionario.
Per fare questo, come già detto ampiamente, è fondamentale aver progettato bene la scena.
Tornando a Carver, notiamo che non ci ha descritto la desolazione del frigo vuoto, non ci ha descritto quanto buia e triste era la casa dietro le tende chiuse. La narrazione privilegia le azioni. Ben vengano le descrizioni, ma meglio se essenziali e inserite all'interno di azioni, di scene dinamiche. Se non così si rischia di rallentare il narrato.
Costruendo una scena si attua il progetto narrativo, lo si rende concreto. Se semplicemente diciamo ciò che accade in una scena non riusciamo a sentirlo.
Wes era triste perché doveva lasciare l’appartamento. Ha chiuso le tende della finestra, dispiaciuto dal fatto che non riusciva più a vedere il mare.
Molte più parole. Molte più cose dette. Molta meno desolazione anche se ci viene detto che Wes è triste. Perché? Perché non sono le parole giuste e perché la scena non è concreta.
Mostrando ciò che accade la scena prende forma, si stacca dall'autore, diventa qualcosa a sé che il lettore riempirà a suo piacimento.
Carver non ci dice nulla di come si sente Wes, lo capiamo noi grazie alle sue parole.
È bene ricordare sempre che il lettore non è pigro, non ha voglia di essere farcito di significati, di essere inchiodato alla pagina da una grande profusione di dettagli. Il lettore vuole essere libero, trovare da sé le conclusioni. Ciò che è importante è fornirgli gli strumenti giusti per poterlo fare, guidarlo esattamente dove vogliamo senza che se ne accorga.

Un esercizio utile che puoi fare per renderti conto di che cosa sia effettivamente lo show don’t tell è leggere i racconti di Hemingway e/o di Carver e soffermarti sulla loro attuazione dello show don’t tell. A quel punto potresti fare il processo contrario, provare cioè a riscrivere quei racconti dicendo ciò che gli autori hanno abilmente mostrato.
Ti sarà utile per capire come cambia l’effetto di cose dette che non sentiamo e di quelle invece che ci vengono mostrate e che riescono a parlarci senza che ce ne accorgiamo.








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